Totò Biografia:   L'ironia vi seppellirà

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Il 3 febbraio 1942 l’attore debutta al teatro Lirico di Milano in un’altra rivista che Galdieri ha scritto per lui e Anna Magnani, Volumineide — il cui primo titolo era Questi nostri amici, censurato da Zurlo perché pensa che faccia riferimento agli scomodi alleati tedeschi e non agli eroi dei romanzi messi in scena — prende lo spunto per i singoli quadri da un motivo molto indovinato, tanto che la rivista si stacca dagli schemi consueti:

tre ladri credono di penetrare di notte in una gioielleria ma entrano invece in una libreria.

 

E qui, sfogliando i volumi, si perdono in un sogno dove rivivono le figure più note della letteratura e del teatro. Totò diventa di volta in volta Pinocchio, una delle sue caratterizzazioni più celebri, Alessio Wronsky di Anna Karenina, Policarpo De Tappeti, il lupo di Cappuccetto Rosso.

 

Anna Magnani è Malombra, Anna Karenina, Cappuccetto Rosso, Carolina in una scena del Galateo di Monsignor Della Casa.

 

Naturalmente i personaggi dei romanzi si mescolano tra di loro dando luogo a incontri inconsueti. Così ritroviamo Totò a colloquio con Malombra, poi con Lucignolo-Mario Castellani al quale canta: «Nel paese dei balocchi / siamo tutti un poco sciocchi / ma importanza ciò non ha / siamo sciocchi / siamo allocchi / siam farlocchi / ma che fa? Qui sia grandi che piccini / siamo tutti burattini, / senza limiti di età. / Burattini, burattini, burattini in libertà. / Qui le teste son di legno, ch’è proibito avere ingegno. / Chi ragiona in questo regno / non è degno di campa’».

 

 

I riferimenti all’attualità vengono subito colti dalla censura che cancella alcune battute, reinserite spesso dagli interpreti anche a costo di rischiare in proprio.

 

Galdieri ironizza anche su se stesso. Dal volume Enciclopedia e vita moderna escono infatti due celebri personaggi di Quando meno te l’aspetti, il Gagà e la Gagarella.

 

 

Dopo un breve colloquio che rievoca il tempo passato, il Gagà ci riprova: «Signora, accontentatemi... venite nella mia giovanottiera». Marfa: «Ma siete pazzo? Foffo! Ricordatevi che delusione per me fu quella sera! Se ci ripenso, vomito! Quello stanzino zozzo e sgangherato».

 

Gagà: «Non più! Malgrado i tempi assai difficili, lo scannatoio è tutto rinnovato!». Non mancano altri accenni di satira politica. Nell’episodio di Anna Karenina la protagonista pretende che il marito e l’amante si diano una stretta di mano.

 

 

Totò piace a Totò?

Ma Totò-Alessio esclama: «E' abolita!». Quello che si ammira in Galdieri sono il buon gusto e la misura, due doti che spesso erano mancate nello spettacolo di rivista, ma che con lui ritornano in auge, soprattutto quando gli attori principali sono Totò e Anna.

 

Nell’ottobre dello stesso anno Totò recita in una nuova rivista di Galdieri, Orlando curioso.

 

Questa volta al suo fianco c’è Lucy D’Albert — italianizzato per l’epoca in Lucia D’Alberti — nome d’arte di Elena Lucy Johnson, figlia dell’attrice Lydia johnson.

Lucy, emigrata dalla Russia con la madre nel 1917, vive in Turchia e in Francia prima di stabilirsi in Italia.

 

E una soubrette elegante e vivace che sarà al fianco di Totò in altre riviste prima di sposare il calciatore napoletano Attila Sallustro.

Totò impersona Orlando, l’eroe ariostesco che è tornato nel mondo moderno per dirimere un equivoco. «Io non fui mai furioso! Lo sbaglio è d’una lettera! perché io son... curioso!».

 

 

Anche in questa rivista sono continui i riferimenti alla realtà del momento. Orlando, in un siparietto che si svolge a Carbonia, portando alcuni pezzi di carbone sulle spalle, canta: «E meglio non pigliarsela / se porti carboni... fa’ finta di niente. E meglio sorridere giocondamente / ... La faccia è fetente... ma tira a campa’!».

 

Orlando debutta a Roma al teatro Valle il 31 ottobre e continua le repliche andando In tournée. A Milano lo spettacolo è spesso interrotto dai bombardamenti che costringono gli attori, appena suona l’allarme, a correre — come si trovano, con i vestiti di scena — verso il più vicino rifugio.

 

E così che Totò nelle vesti di Orlando, con la corazza, il pennacchio in testa, la rigidità che gli impone il costume da pupo siciliano, corre per la strada a gambe levate spinto dalla paura che lo accumuna a tutti gli altri compagni.

 

 

Clelia MataniaUn’attrice della sua compagnia, Clelia Matania, preoccupata che così bardato si renda ridicolo, una sera gli chiede perché non si è levato il pennacchio. Totò pronto le risponde: «E secondo voi i’ songo accussì fesso da finì acciso sott’‘e bombe pe’ colpa ‘e nu pennacchio?».

 

Il suo modo di dire la battuta è così comico da far ridere e applaudire tutti gli altri rifugiati, che dimenticano per un attimo la loro paura. Gli spettacoli si svolgono in una situazione di grande disagio.

 

La precarietà si accompagna al freddo dei teatri non riscaldati e, a volte, alla fame per il cibo che scarseggia. Anche a Roma la situazione si fa sempre più grave.

 

Totò pensa di portare la famiglia al sicuro facendola sfollare a Valmontone, un paese a sud della capitale.

Ma scopre ben presto che è ancora meno sicuro della città perché si trova a pochi chilometri da una polveriera e viene tartassato dai bombardamenti. Ma forse perché c’è poco da godere nella vita di tutti i giorni, la gente va di più a teatro e al cinema, soprattutto se lo spettacolo promette delle risate.

 

Totò viene scritturato dalla Bassoli Film per interpretare una nuova pellicola, Due cuori fra le belve, che dopo la guerra verrà ridistribuita con il titolo Totò nella fossa dei leoni, diretta dal regista romano Giorgio Simonelli e basata sul racconto Ventimila leghe sopra i mari, scritto dal direttore di produzione Goffredo D’Andrea. Totò, innamorato della figlia di uno scienziato disperso in Africa, si trova coinvolto in una spedizione alla sua ricerca e arriva quasi a servire da pasto ai cannibali.

 

Ma tutto si risolve per il meglio.

Il film è girato a Cinecittà nel teatro n.10 dove verdeggia una giungla finta. Sono veri invece i leoni, te iene, le scimmie, gli avvoltoi, i gufi reali e i serpenti tenuti a bada da Angelo Lombardi, che diventerà più tardi il televisivo amico degli animali.

 

 

Totò con Eduardo PassarelliTotò si deve destreggiare tra Cinecittà, dove ogni giorno si sottopone a un lungo trucco e sopporta le attese tra un’inquadratura e l’altra, e il teatro Valle dove la sera, dopo un altro laborioso trucco, continua le repliche di Orlando curioso.

 

C’è una foto di Totò scattata dal tedesco Eugenio Haas sul set di Due cuori fra le belve in cui il comico in giacca e cravatta tiene la testa leggermente piegata all’ingiù e lancia con i suoi grandi occhi da pupo una sguardata obliqua come potrebbe fare nel pronunciare la surreale espressione «a prescindere».

 

All’occhiello della giacca porta il distintivo del partito fascista, la cosiddetta cimice. Ma questo non deve fare equivocare sulle sue idee politiche.

 

Il principe De Curtis, se è conservatore per blasone, non potrà mai andare d’accordo con l’arroganza del potere, con i “caporali”, combattuti da lui per tutta la vita e soprattutto nel periodo dell’occupazione nazista.

 

Dal palcoscenico, complice Galdieri, lancia appena può chiari segnali di insubordinazione, ma è costretto, per il quieto vivere a cui tiene tanto, ad adeguarsi al costume del tempo.

 

Nell’autunno del 1943 lo troviamo impegnato nello spettacolo Aria nova che debutta al teatro Galleria di Roma il 9 ottobre.

Con lui ci sono vecchi e nuovi artisti in una squadra che, mentre lancia il Quartetto Cetra, Elena Giusti, Mario Riva, accanto a Totò ripropone Eduardo Passarelli (nella foto a sinistra con Totò). Che ti sei messo in testa?, la nuova rivista di Galdieri che vede di nuovo Totò in coppia con Anna Magnani, debutta a Venezia nel gennaio 1944, per poi trasferirsi a Roma al teatro Valle dove è molto modificata per il diverso clima politico. Gli ultimi mesi dell’occupazione tedesca di Roma sono anche i peggiori.

 

 

Forse proprio per questo la gente va di più a teatro e predilige la rivista. Che ti sei messo in testa? avrebbe dovuto chiamarsi in realtà Che si son messi in testa? con chiara allusione ai tedeschi occupanti.

Ma la censura sempre solerte cambia il titolo. La rivista è in realtà piena di espliciti accenni alla situazione politica.

 

Totò e Anna MagnaniScherza sul ritorno alle scene, come amici, di Totò e della Magnani, di questi tempi chiamata Digiunani, sulla partenza per le vacanze della Ragione, che, come tutti gli altri divi, pare abbia lasciato Roma per Venezia, tanto che non si riesce a mettere insieme uno spettacolo.

 

Tra i divieti e le paure, la gente non sa più cosa fare e cosa dire.

 

Anna e Totò rifanno la scena del Gagà e della Gagarella, richiamano il motivo della fioraia, ricordano Pinocchio, e, rivangando il passato, accennano alla loro separazione teatrale. Anna dice: «La ragione / è che se recitate / divertendo gli anziani e i ragazzi / il mio dialogo a mezzo lasciate / per far mille bellissimi lazzi. / Divertite così mezza Europa / ma io qua / fo la mazza di scopa».

 

In una parodia de La figlia di Jorio che si chiama Il figlio di Jorio, Totò è il pastore Aligi che dopo aver dormito settecento anni si sveglia nel nuovo mondo ignaro di tutto. Ma se continua a ripetere: «Io sono ignaro!», poi accenna ai rastrellamenti, «... Ho fatto un nascondiglio dietro lo scaldabagno... ma dice che hanno i cani poliziotti!?»; alla pazzia dei governanti, «Forse è meglio fare il pazzo... entrare in un manicomio...

 

Ma come fai a distinguere?». E intanto recita: «Io penso alle mie pecore che tirano a campar!». Iniziata al teatro Valle il 5 febbraio, la rivista passa alla metà di marzo alla Sala Umberto I e quindi al teatro Brancaccio. Mancano i mezzi di trasporto, la benzina è razionata, le automobili private non possono circolare.

 

 

Totò va a teatro in bicicletta, mentre Anna ha acquistato un calessino tirato da Banana, un pony che mangia erba invece della biada introvabile, ma rifiuta di assaggiare i fiori che la sua padrona butta via perché glieli hanno regalati i gerarchi tedeschi. Lo spettacolo deve andare in scena tutte le sere e Totò, fedele alla tradizione, recita anche il giorno della morte di suo padre.

Nel tentativo di non lasciar trapelare il suo dolore, riesce a far ridere il pubblico più del solito.

"Il principe Totò" Orio Caldiron (Gremese editore)

 

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