L'uomo, la bestia e la virtù

 

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Film in B/N durata 90 min.  -   Incasso lire 289.000.000  (valore attuale € 7.231.404,95)  Spettatori 2.000.000  Video-clip 36 sec.

"L'uomo, la bestia e la virtù" 1953 di Steno. Soggetto dal dramma omonimo di Luigi Pirandello 1919; Sceneggiatura Steno, Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Antonio Pietrangeli, Vincenzo Talarico. Produttore Antonio Altoviti per Rosa Film, Direttore della fotografia Mario Damicelli, Musiche Angelo Francesco Lavagnino e Pier Giorgio Redi, Montaggio Gisa Radicchi Levi, Sceneggiatore Mario Chiari, Direttore di produzione Luigi De Laurentiis, Aiuto regista Lucio Fulci, Fonico Biagio Fiorelli.

Interpreti: Totò (il professor Paolino), Orson Welles (il capitano Perella), Viviane Romance (sua moglie), Franca Faldini (Mariannina), Clelia Matania (la serva), Mario Castellani (il medico), Italia Marchesini (Rosaria), Carlo Delle Piane (uno studente), Salvo Libassi (il timoniere), Giancarlo Nicotra (il figlio del capitano).

Trama: Assunta Perella è sposata con un capitano di lungo corso che si è formato un'altra famiglia e che torna dalla moglie due volte all'anno. Tra loro i rapporti coniugali sono inesistenti. Da anni Assunta è l'amante di Paolino (Totò) insegnante di suo figlio. Un giorno, scopre di essere incinta e attende con angoscia il ritorno del marito. Paolino le consiglia di drogare il capitano con un afrodisiaco in modo che compia il suo dovere. Il capitano Perella non solo compie il suo dovere ma torna ad amare la moglie e Paolino, sconfitto, deve andarsene.

CLIP: L'uomo, la bestia e la virtù

Critica: L'ipocrisia, il senso brillante, il cinismo e l'apparenza beffarda della scena pirandelliana di L'uomo La Bestia e la virtù (1919) porta in sé tutto lo scorcio meditabondo su un mondo opportunista e commediante senza civiltà. Filtrato dal cinema di Totò diretto da Steno nel 1953, oggi questa versione pienamente moderna di Pirandello, riapproda a teatro con una puntigliosa recitazione sicula firmata da Leo Gullotta sotto la direzione di un talentuoso Fabio Grossi.

 

È un Pirandello quasi leggero e non convenzionale: nessuna digressione temporale, un filo di ironia che attraversa tutto il copione e una conclusione choc che finisce per gettarsi nel retrogusto amaro e grottesco. C'è un ritmo veloce, una tensione scenica e uno stampo cervellotico dei protagonisti che sullo sfondo lasciano una reminescenza recitativa dal tono falsato nei contorni degli attori secondari, quasi vittoriani volutamente calcati ad un sinonimo di corruzione e falsa morale. La Ponti -De Laurentiis con questo film decide creare una produzione internazionale e chiama accanto a Totò due stelle mondiali, anche se oramai in declino, come Orson Welles e Viviane Romance.

 

Il film viene girato in Gevacolor, procedimento belga probabilmente più adatto del Ferraniacolor ad un mercato internazionale. Del cast fanno parte Carlo Delle Piane e il piccolo Giancarlo Nicotra, futuro regista televisivo , segretario di edizione è il giovane Sergio Leone. All'uscita nelle sale il film crea non pochi malumori, i critici non apprezzano l'accostamento Totò - Pirandello gridando alla lesa maestà tanto che gli eredi dello scrittore siciliano chiedono ed ottengono poco dopo il ritiro della pellicola dalle sale. Alla scadenza dei termini di legge nel 1993 il film ritorna alla luce ma la copia originale e' ormai dissolta, dei colori dell'originale in Gevacolor non resta nulla, la copia attualmente in circolazione e' infatti in bianco e nero.

 

Tratta dall'omonima commedia di Luigi Pirandello, questa riduzione cinematografica di Steno venne fortemente contrastata dagli eredi dello scrittore e provocò non poche stroncature da parte della critica, soprattutto quella seriosa e "militante". Si considerava come una "diminutio capitis", come una vera e propria contaminazione e come una provocazione (come avverrà, per altri versi, lo stesso anno, con "Totò e Carolina") che il buffone Totò interpretasse un testo pirandelliano. Nonostante, quindi, le straordinarie interpretazioni di "Yvonne la nuit", "Guardie e ladri", e "Dov'è la libertà", Antonio de Curtis veniva ancora e solo identificato con Totò, con una marionetta buffonesca priva di anima: insomma un pagliaccio senza una dimensione umana.

 

In realtà Totò, in questa interpretazione pirandelliana (un'altra sarà "La patente") e indipendentemente dal valore estetico del film, riesce a dar vita ad un personaggio vigoroso, che si imprime nella memoria per la sua forza recitativa, che è sempre convincente anche quando è sopra le righe e con qualche regressione a livello del Totò prima maniera. Con i baffi trapezoidali e i capelli aderenti alla testa richiama curiosamente la stessa immagine di "Uccellacci e uccellini". Immesso in un contesto narrativo più vicino alla farsa e talora alla pochade che alla commedia, il personaggio di Paolino è molto ben tratteggiato con molti tocchi di sapore apertamente comico e satirico, sin dal suo primo comparire davanti al direttore della scuola e poi con i due studenti privati.

 

Anche se imprigionato e ingessato in un personaggio fortemente e volutamente caratterizzato, de Curtis riesce a far trapelare quei tratti umani che impediscono al personaggio di ridursi a pura macchietta. Egli è un cinico, un freddo calcolatore, un pessimo educatore, un amante senza scrupoli, un vile, ma ciò nonostante, proprio perchè umanizzato dai suoi pur gravi difetti, risulta di una simpatia assoluta e lo spettatore finisce col farsi suo complice nell'impresa di costringere a tutti i costi il capitano a fare, almeno una volta, il suo dovere coniugale.

 

Alla fine ci si rende conto che tutta l'interpretazione e il registro recitativo danno come risultante una figura molto vicina al clown bianco, ossia un guastatore raccolto in una malinconica tristezza, come dimostra l'ultima scena, in cui ormai rassegnato, il professor Paolino si incammina verso casa insieme a Mariannina, la prostituta del paese, alla quale ha proposto di andare a vivere con lui.


Certo il testo letterario, anche se adattato per lo schermo da uno sceneggiatore siciliano ed esperto di Pirandello quale era Vitaliano Brancati, viene stravolta, anche per motivi di censura e nel film i due coniugi, proprio grazie all'amante della donna, tornano a volersi bene.

Alcune esagerazioni, come l'intera scena di fronte al moribondo, peraltro molto ben sostenuta da Mario Castellani, non tolgono nulla all'interpretazione di Totò, mentre la battuta pronunciata dal professor Paolino verso l'amante, devi sembrare una di quelle, anticipa il film girato nello stesso anno "Un turco napoletano".

Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione


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