Totò a colori

 

Barbara Florian (la serva serve)
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Film a colori durata 92 min.  -  Incasso lire 774.750.000  (valore attuale: € 21.435.950,41)  Spettatori 6.390.000   Video-clip 36 sec.

"Totò a colori" 1952 di Steno. Soggetto Steno, da sketch di riviste di Michele Galdieri e Antonio De Curtis, Sceneggiatura: Steno, Monicelli, Age, Scarpelli; Produttore Ponti-De Laurentiis Cinematografica, Giovanni Amati per Golden Film, Direttore della Fotografia Tonino Delli Colli, Musiche Felice Montagnini, Montaggio Mario Bonotti,  Sceneggiatore Piero Filippone, Direttore di Produzione Alfredo De Laurentiis, Aiuto Regista Lucio Fulci.

Interpreti: Totò (maestro Scannagatti), Isa Barzizza (la signora del WL), Rocco D'Assunta (il cognato di Scannagatti), Virgilio Riento (maestro Tiburzi), Mario Castellani (l'on. Cosimo Trombetta), Luigi Pavese (Tiscordi), Franca Valeri (la snob), Galeazzo Benti (un esistenzialista), Fulvia Franco (la sua fidanzata), Anna Vita (un'esistenzialista), Albero Bonucci (regista russo), Armando Migliari (sindaco di Caianello), Vittorio Caprioli (tenore), Bruno Corelli (Joe Pellecchia), Guglielmo Inglese (giardiniere), Michele Malaspina (sindaco), Carlo Mazzarella (un esistenzialista), Barbara Florian (la serva atomica).

Trama: Il musicista Antonio Scannagatti cerca invano da molti anni di fare accettare la sua musica da un editore. Coglie l'occasione dell'arrivo in paese di Joe Pellecchia, divenuto ricco in America, per dirigere la banda del paese. Ha successo ed il figlio del sindaco promette di aiutarlo. Ma una serie di contrattempi non gli permette di essere ricevuto dall'editore Tiscordi. Alla fine l'editore comprende la genialità di Antonio Scannagatti e gli aprirà le vie del trionfo.

Film completo: Totò a colori

Critica: Per tentare le vie del colore, il cinema italiano ha fatto ricorso a Totò e dal suo repertorio di rivista ha tratto alcune macchiette che, affidate ad un unico filo conduttore, potessero dar luogo a un film spensierato. L'interesse del film, perciò, è tutto nelle virtù comiche di Totò. Arturo Lanocita, "Il Nuovo Corriere della Sera" Milano, 9 aprile 1952.

Il primo lungometraggio italiano a colori avrebbe meritato cure maggiori, sia nel soggetto che nella realizzazione. E invece la trama soffre di lungaggini e in alcune situazioni di scarsa originalità e la regia punta più spesso sullo sketch che sull'azione. Tuttavia lo spettacolo c'è e richiama il pubblico, specialmente per merito dell'inimitabile e sempre bravo Totò. Gian Luigi Rondi, "Il Tempo", Roma, 13 aprile 1952.

Totò a colori fu uno dei primi film italiani a colori, girato col sistema Ferraniacolor.

Il film è un'antologia dei più noti sketch di rivista del grande comico: Il vagone letto (C'era una volta il mondo), la marcia dei bersaglieri, e soprattutto delle sue invenzioni marionettistiche più geniali: Il Pinocchio (Volumineide) e il direttore d'Orchestra fuoco d'artificio, che si era già visto in Fermo con le mani! (1937) e in I pompieri di Viggiù (1949).

L'uso di una pellicola a colori per quei tempi però necessitava l'impiego di luci molto forti, a scapito della vista, l'attore soffriva già di problemi di vista all'occhio sinistro, nessuno infatti osava guardare in quelle lampade ad arco all'epoca per paura di danni alla retina, si dice che la parrucca di Totò fumasse tanto era il caldo, e che nel bel mezzo di una scena addirittura svenne. Il film ebbe un grandissimo successo ma ovviamente la critica non diede giudizi positivi.

"Totò a colori" è il film con il più alto incasso che segna anche l'inizio del colore nel cinema italiano. Si ritorna alla prima maniera, al Totò del varietà con frac e bombetta. Infatti, il film è costruito su un esile pretesto narrativo, per presentare una collezione di sketch tratti dalle riviste di Michele Galdieri con testi anche di De Curtis che riesce anche a conservare i suoi contorni realistici, anche se ipertroficamente stravolti da un tipo di recitazione a macchietta.

Ma questo è appunto Totò, nella sua completezza di clown maschera tragica.

La recitazione di de Curtis viene depurata da Steno di tutte quelle incrostazioni eccessive, esagerate e ormai ampiamente sfruttate, sicché l'esito finale, pur se limitato dalla frammentarietà di scene non collegate tra di loro, è abbastanza soddisfacente e Totò riesce a fornire ritratto di musicista vivo e fortemente satirico.

Peccato che Steno non sempre riesca a trattenere la storia al di qua del realismo minimo, soprattutto nella parte finale, con l'improbabile (anche se divertente) equivoco dell'iniezione all'editore Tiscordi (Luigi Pavese), l'irreale fuga all'interno del teatro alla Scala, la stessa esibizione della marionetta-Pinocchio-Totò.

Alcuni inserti sono esplicitamente di sapore surreale, come la lunga sequenza finale, con Totò direttore d'orchestra che si trascina i musicisti per le vie del paese e il gesto, letteralmente plagiato da "Fermo con le mani", in cui Scannagatti nel wagon lit, per ovviare ai cattivi odori provenienti dai piedi dell'onorevole, si china e indossa una assurda maschera antigas.

Confrontando il personaggio di Antonio Scannagatti con quelli dei film farseschi precedenti, notiamo che Steno ha compiuto un lavoro di umanizzazione, pur restando nell'ambito dichiarato del film comico. D'altro canto si trattava del primo film italiano a colori e non si poteva deludere il grande pubblico con una "cucina" dai sapori troppo sofisticati.

Tra tutti gli sketches il più famoso in assoluto è quello del wagon lit, su cui è nata tutta una letteratura e che può essere studiato da tanti punti di vista, primo tra tutti quello della grandezza recitativa di Totò, che riesce a immettere nell'episodio una carica comica straordinaria, fatta di impercettibili movimenti e di tonalità linguistiche esilaranti, di non-sense e di battute fulminanti (quel trombone di suo padre, c'è a chi piace e a chi non piace, sono un uomo di mondo.

Ho fatto tre anni di militare a Cuneo, parli come badi, ecc.) in un crescendo e in un complesso recitativo di altissima scuola. Quel tanto di surreale e di astratto che il personaggio conserva è una delle facce ricorrenti della maschera di Totò che in questo film, apertamente esibita, contribuisce all'esito particolarmente felice di una farsa recitata con garbo.

Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione


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