Totò cerca casa

 

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Film in B/N durata 90 min.  -  Incasso lire 505.300.000  (valore attuale € 19.576.446,28)  Spettatori 5.364.000

"Totò cerca casa" 1949 di Steno e Mario Monicelli. Soggetto e Sceneggiatura Age, Furio Scarpelli, Steno, Mario Monicelli, Vittorio Metz, Marcello Marchesi (un episodio è tratto da Il custode di M. Moscariello). Produttore Carlo Ponti, Direttore della Fotografia Giuseppe Caracciolo, Musiche Carlo Rustichelli, Montaggio Otello Colangeli, Sceneggiatore Carlo Egidi, Direttore di Produzione Clemente Fracassi, Aiuto Regista Rudy Bauer, Fonico Kurt Doubrawsky.

Interpreti: Totò (Beniamino Lomacchio), Ada Mangini (sua moglie), Lia Molfesi (sua figlia), Mario Gattari (suo figlio), Aroldo Tieri (Checchino), Giacomo Furia (il signore con i salami), Luigi Pavese (il capufficio), Enzo Biliotti (il sindaco), Cesare Polacco (il vice custode del cimitero), Alfredo Ragusa (bidello), Marisa Merlini (patronessa), Folco Lulli (il turco),  Flavio Forin (il vedovo), Liana del Balzo (la contessa), Mario De Vico (il cìnese), Mario Riva (agente immobiliare), Mario Castellani (il truffatore), Lilo Weibel (la turca).

Trama: Beniamino vive da sfollato in un'aula scolastica e con un espediente si fa assegnare la casa del custode del cimitero. Dopo una notte di paura fugge, tornato alla scuola viene cacciato all'inizio delle elezioni. Finisce al Colosseo e vinta una somma con un concorso decide di affittare una casa ma la casa viene affittata a Totò a delle turiste inglesi e ad un cinese.

Film completo: Totò cerca casa

Critica: Probabilmente Totò non legge quello che si stampa sul suo conto, lo ha dimostrato restando insensibile ai cambiamenti, restando fedele al suo istinto comico, anzi alle sue vecchie battute che ogni tanto ancora oggi ripete come se il tempo non fosse nemmeno trascorso da quando caracollava sulle tavole del teatro Principe.

In un mondo teatrale così sconnesso, Totò rimane un punto fermo, È certo un attore inimitabile, che non è mai volgare, perché i suoi gesti più volgari diventano arabeschi da contorsionista e le sue battute hanno la forza delle domande stupide.

Oggi Totò è talmente definito che si è messo a fare un film dietro l'altro senza aver bisogno nemmeno di una trama. Ennio Flaiano, "Il Mondo", Roma, 31 dicembre 1949.

Totò accende l'ilarità con lepidi lazzi, la eccita con clownesche, la scatena con improvvise girandole mimiche che scompongono il suo corpo nelle grottesche figurazioni di un'assurda pantomima, arieggiando persino le deformazioni di una certa arte contemporanea.

Ne risulta una comicità elementare, viscerale: si ride senza riflettere, trascinati da convulsi irresistibili e questo oblio totale della coscienza è forse il dono migliore che Totò sa dare al pubblico. Emanno Contini, "Il Messaggero", Roma, 15 dicembre 1949.

È il primo film di Totò legato al "sociale" ed il primo in cui Steno figura anche  come regista insieme a Mario Monicelli. Anche qui, come nel caso già analizzato di "Totò al giro d'Italia", bisogna sottolineare che la presenza di Metz e Marchesi nel gruppo degli sceneggiatori contribuisce a far spostare il film verso un piano surreale, dove la vicenda narrata, carica di elementi fortemente "realistici", si coniuga con elementi assolutamente fantastici e irreali, diventando in alcuni casi una vera e propria "caricatura surrealista , come la scena in cui Totò fa l'uovo; la casa nel Colosseo; Totò scambiato per alunno delle elementari; il cadavere nel deposito al cimitero, i ripetuti incontri casuali con il sindaco, ecc.

Nel primo dopoguerra, la crisi degli alloggi era il problema di quasi tutti gli italiani e questo film costituisce, per la prima volta, uno splendido connubio tra il crudo realismo e la satira più libera, dando luogo ad una sorta di "neorealismo comico" cui ben si prestava la straordinaria recitazione di Totò, che sapeva adoperare perfettamente entrambi i registri.

Nei panni del povero avventizio anagrafico Beniamino Lomacchio, sfollato con la famiglia in una scuola elementare, la maschera di Totò si stempera nel volto dei tanti sfollati italiani dell'epoca, tutti bisognosi di un alloggio. Il film tuttavia è impostato su un piano di puro divertimento (castigat ridendo mores) e pertanto sia il carattere che la recitazione dell' Artista sono adeguati al timbro generale del film.

Da un inizio fortemente realistico vien fuori piano piano la farsa e Totò ripropone, sia pure attenuato e metabolizzato in una visione d'insieme fortemente influenzato dal realismo (come gli interni dell'anagrafe e della scuola), lo stereotipo del "Totò" prima maniera. Frequenti le caricature sulla burocrazia dell'epoca, al culmine delle quali deve essere collocata la famosissima scena dei timbri, che è un vero e proprio capolavoro di comicità, poi rielaborato superficialmente e citato ne "La macchina fotografica", mediocre episodio di "Tempi nostri" (1954) di Alessandro Blasetti. Si ripresenta in alcune scene l'humour nero che aveva fatto la sua prima comparsa in "Due cuori tra le belve" e che il volto di Totò sa esprimere in una forma esemplare. Si rintrecciano battute che ormai accompagneranno per sempre il personaggio, quali questo stabile mi sconfinfera, eziam... e andìo, i comodini sono in contumacia, mentre la scena di Totò che sputa nell' occhio del venditore di baracche sarà ripresa e ampliata in "Totò a colori" e successivamente ne "Il monaco di Monza" e "Che fine ha fatto Totò Baby?".

Nel secondo tempo quei caratteri surreali ed esagerati, che sono l'effetto della presenza di Metz e Marchesi, si ingigantiscono, trascinando De Curtis ad accentuare in modo vistoso i caratteri e la recitazione di Totò, che spesso ridiviene marionetta e macchietta.

Unendo insieme realismo, assurdo, humour nero e farsa, il film costituisce un esempio clamoroso di incasso, che con oltre il mezzo miliardo dell'epoca, è tra i più alti dell'intera carriera di Totò.  >>articolo correlato: Totò cerca casa<<

Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione


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